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Comunicazione al Seminario di studio regionale “Adolescenti e telefonino. PDF Stampa E-mail
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di Sara Russo
Dottore di ricerca in Progettazione e valutazione dei processi formativi
Organizzazione Scientifica Osse.For.
 
Trattare la questione adolescenza già comporta un carico intellettuale e morale grandissimo. Ma dal punto di vista educativo le cose si complicano ulteriormente. Si tratta di un percorso e di un passaggio complesso e complicato, gravido di questioni che coinvolgono i ragazzi, chiamati a compiere una ristrutturazione della loro identità e gli adulti a loro vicini sollecitati a modificarsi a rimettersi in gioco.

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Sono le scuole, la famiglia gli attori più importanti, i più meritevoli di attenzione in questa età di transizione.

Non si può ricercare in nessun modello teorico la responsabilità educativa dei genitori degli insegnanti. Ne consegue che ogni famiglia, in qualche modo con il suo personalissimo stile di relazioni interpersonali finisce per essere il modello a cui i giovani si attengono per la loro identità sociale, le idee, l’affermazione del sé, la reciprocità dei sentimenti e la relazione con se stessi e con gli altri. Parlare di educazione nel II millennio è cosa ardua, in un panorama socio-culturale così vario e variegato.

Tanti i quesiti a cui i ragazzi sono chiamati a rispondere. Ma più di tutto a complicare le cose interviene la dissociazione a cui sono sottoposti gli adolescenti; che si dibattono tra un ipersviluppo cognitivo e un iposviluppo emotivo-affettivo. Abbiamo di fronte a noi, infatti, ragazzi autonomi con la mente, perfettamente adattati alle tecnologie, ma poco a loro agio per quanto riguarda le relazioni faccia a faccia, i sentimenti e le responsabilità. Disturbi di ogni genere li affliggono ma una in particolar modo è degno di nota “l’anoressia relazionale” tutto è veloce, breve ed ossessivo. La comunicazione spesso anzi quasi sempre è virtuale. I ragazzi sono soli parlano ma non comunicano; si trovano quindi ad affrontare la necessità di recuperare e riacquisire un galateo di relazioni e affettività.
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Viviamo in una società ipertecnologica che gli offre ogni tipo di possibilità per aprirsi verso il mondo ma è la modalità che è sbagliata. La scuola da parte sua non riesce a far fronte a bisogni che non siano esclusivamente didattico-disciplinari.

Il tempo una volta dedicato alla relazione, all’ascolto, alla chiacchiera è assorbito dai vari progetti, approfondimenti ecc. La famiglia attanagliata quasi paradossalmente dagli stessi problemi dei figli, composta molte volte da adulti non cresciuti, si sposta dal nucleo che le appartiene e che la fa centro della nascita e crescita del mondo interiore di ognuno.

Succede allora che in molti casi purtroppo il giovane adolescente non riuscendo a “dire” il proprio disagio cerca una sorta di rifugio-fuga percorrendo strade dolorose e distruttive, in una sorta di abitudine gratificante: la dipendenza. Il telefonino è una di queste. Erikson sottolineava che la capacità di un individuo ad assumersi responsabilità e quindi ad essere autonomo diventa possibile solo se questo riesce ad integrare nella propria personalità una coerente serie di modelli che gli si sono presentati.

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Si deduce che un clima familiare ed incoerente come in un clima culturale eccessivamente conflittuale non giovano a rendere possibile e facile questo processo. La logica ipertecnologica ha inciso moltissimo su molti fattori legato al soggetto-persona, alla sua corporeità e alla sua vita affettiva. La perplessità che pervade gli adulti non permette un dialogo sereno con i giovani, e tutto ciò si traduce in atteggiamenti in continuo mutamento e sperimentazioni, quasi mai in decisioni concrete e coerenti: ciò di cui i giovani hanno bisogno. Altro punto focale di questa questione è la perdita del concetto di limite che è categoria intrinseca all’uomo; tutto è possibile nel quid ed ora.

Eventi strategici come la malattia e la morte non possono essere metabolizzati in quanto il mondo virtuale non lo comporta. Così come occuparsi del passato non è possibile, l’iperconcreto esige continuamente l’immersione nel presente. Termini come storia personale, familiare, nazionale non appartengono agli adolescenti: tutte le esperienze una volta fatte sono cancellate come un sms. Nasce di qui anche la impossibilità di progettare, pensare il futuro, l’attesa non esiste, il possibile non c’è, e se ciò che si desidera non arriva la catastrofe è totale. E la gratificazione immediata ad essere cercata ed un sms è immediato; l’attesa di una lettera non sarebbe proponibile. L’assunzione della consapevolezza da parte degli educatori che il mondo in cui ci troviamo a vivere è una sorta di labirinto, non deve necessariamente portarli allo scoraggiamento. La necessità di acquisire nuovi strumenti cognitivi, affettivi, relazionali ed etici è ciò che spetta agli educatori. Personalmente la conoscenza dell’approccio autobiografico in campo educativo-pedagogico è stata interessante e stimolante. Philippe Lejeune padre di questa disciplina ne sottolinea la validità ravvisando quanto questa contribuisca alla ricostruzione della storia del soggetto. È un processo di formazione, un’automonitoraggio della propria esistenza. Scrivendo su carta con la penna, potendo rileggere in ogni momento passaggi e sfumature, rende possibile a chi legge (educatore) e a chi scrive meglio e più attentamente le motivazioni dei comportamenti, delle scelte, delle crisi, delle eventuali rinascita, degli errori e dei perché. Educare vuol dire essenzialmente cambiare: un cambiamento consapevole anche relativo ad un processo intenzionale dei proprio obbiettivi: ruoli nel mondo, compiti e scambi con gli altri. La mia idea quando ho iniziato al metodo autobiografico è stata appunto quella di cogliere nella scrittura del se un processo educativo forte ed efficace. Chi scrive di se può trovare la bussola per orientarsi nel mare di emozioni, sentimenti, cadute, risalite, perplessità e dubbi che pervadono la propria vita; e la vita di un adolescente è fortemente pervasa da tutto ciò. Educare gli adolescenti vuol dire in primo luogo ad interpretarsi a dargli strumenti da autoprogettazione. La conoscenza e l’accoglienza di altri tipi di scritture, definite minori (sms, posta elettronica ecc.) è essenziale perché non è pensabile ignorare modalità che di fatto sono concrete reali e accolte dai più. Sforzarsi di far cogliere il ruolo della relazione corretta della introspezione accurata e sistematica a fronte di una mordi e fuggi che non puoi rileggere dettata dal momento, quindi mancante di qualità quali la riflessione, l’approfondimento, la rilettura questo dovrebbe fare un educatore che si avvalga della metodologia autobiografica. Il diario, lo strumento prediletto da Lejeune può servire a chiarire quei momenti di incertezza in cui i ragazzi pensano di aver perso l’equilibrio e fermando il tempo e trovare con il contatto diretto del foglio quelle spinte emotive che gli permettano di ricordare quello che è stato, quello che è e ciò che potranno sempre cambiare.

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BENELLI C., il metodo autobiografico in educazione, Firenze, Dicembre 2002

PHILIPPE LEJEUNE, Una vita per l’autobiografia, ed. Unicopli, Milano, 2006

G. D’AQUINO, Relazioni difficili, Mondatori, Milano, 2006

 

 

 

 


 

 
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