Le reti sociali tra marginalità e capitale sociale per la modificazione degli stili di vita
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di Anna Maria Rizzo
Docente di Politica Sociale e Metodi e Tecniche del Servizio Sociale
Dipartimento di Scienze Sociali e della Comunicazione Università del Salento
Organizzazione Scientifica Osse.For.

 Il nostro agire è inserito nella reticolarità dei rapporti e noi stessi siamo parte di reti. Reti familiari, sociali, professionali che contribuiamo a costituire e che ci costituiscono. Reti di cui possiamo disegnare la struttura, evidenziarne la qualità e intensità delle relazioni. Costituiamo e ci costituiamo in reti che operano come sistemi più o meno chiusi all’interno di sistemi sociali più ampi in un gioco di figure che si sovrappongono, si intersecano nella complessa e imperfetta geometria del sociale. Ma cosa si intende per reti sociali?
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Molte sono le definizioni. Una di queste vede le reti sociali “un insieme specifico di legami che si stabiliscono tra un insieme specifico di persone; le caratteristiche peculiari di questo legame permettono di dar senso e comprendere i comportamenti sociali delle persone che vi sono coinvolte”.

L’antropologia considera invece le reti in una prospettiva analitica come insieme di punti congiunti da linee dove i punti rappresentano le persone e anche i gruppi e le linee indicano quali elementi stiano interagendo tra loro.

Un’altra definizione ancora le interpreta come “ social network ossia l’insieme dei contatti interpersonali per effetto dei quali l’individuo mantiene la sua identità sociale, riceve sostegno emotivo, aiuti concreti, servizi, informazioni oltre alla possibilità di sviluppare rapporti significativi”.

La varietà dei modelli riflette l’interesse che le scienze sociali hanno dedicato a tale argomento e ciascun modello mette in risalto caratteristiche diverse. Un’ultima definizione individua le reti sociali come tutto quel complesso di collegamenti e di integrazione delle risorse che fanno capo alla rete relazionale della persona (sistema di sostegno sociale o informale) e ai servizi del territorio (sistemi di sostegno comunitario o formale).

Il sistema informale è composto da parenti, amici, vicini di casa, colleghi di lavoro i quali possono agire sulle persone affinchè queste diventino disponibili e capaci di aiutarsi da se stesse.

Si può affermare invece che il sistema formale di ostegno all’individuo sia costituito da operatori: insegnanti, assistenti sociali, psicologi, psichiatri, educatori, medici, terapisti, ed altri ancora. L’utilizzo delle risorse sociali di tipo formale presuppone l’attivazione di quelle reti attraverso la conoscenza dei servizi presenti sul territorio e delle rispettive competenze, nonché, all’interno di questi, l’attivazione dei contatti specifici.

Entrambi i sistemi di sostegno possono attivare gli stessi processi sia con il sistema formale che informale o, a volte, attivando la partecipazione congiunta dei due sistemi. Il livello di efficienza di questo tipo di azione è legato a un sempre maggiore coordinamento e utilizzo sistemico dei due sistemi. Sono molte le ragioni che impongono di ottimizzare le reti, a partire dalla necessità di stabilizzare e coordinare le risorse disponibili e valorizzare le naturali risorse umane, laddove esistano. Il tutto nella consapevolezza che il fronte delle direttive è spesso ambiguo e non coordinato dagli interlocutori istituzionali.

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Ma la rete è oggi un pensiero diffuso nei luoghi del sociale, un’immagine ad alta intensità evocativa, la grande metafora della società complessa. Quando non si attiva diviene il capro espiatorio delle disfunzioni sociali, altrimenti è la miracolosa coperta di Linus da cui far discendere tutte le risposte al bisogno sociale.

Bisogna così considerare l’ambiguità di significato che l’uso della metafora richiama. La rete infatti evoca immagini positive di protezione, sostegno, crescita, flessibilità, e immagini negative di contenimento e immobilismo.

La rete, allora, metafora dell’appartenenza nelle società complesse, diventa una possibile categoria di rappresentazione del sociale, le relazioni sociali elementi costitutivi della realtà sociale e l’identità dell’attore sociale elemento precipitato nelle sfere di appartenenza.

La rete in questo modo ha già segnato la sua direzione che, anche senza una precisa destinazione, vincola e marca.

Ed è proprio a partire da tali considerazioni che la rete sociale può immobilizzare, può divenire la trappola soprattutto per chi vive la compresenza di molteplici motivi di sofferenza e la difficoltà o l’impossibilità di affrontarli tutti insieme, nei loro effetti cumulativi; soprattutto per chi vive un’esperienza di deprivazione, di marginalità sociale.

Ma d’altra parte questa complessità rimanda immediatamente alle condizioni sociali in cui i soggetti in questione vivono e all’organizzazione sociale che produce e perpetua quelle condizioni. La marginalità sociale che produce e perpetua quelle condizioni. La marginalità sociale riguarda cioè vite e persone concrete, ma al tempo stesso vi illumina le condizioni sociali in cui esse sono immerse: riguarda individui e gruppi esclusi ma altrettanto la società in cui vivono, o in cui fanno fatica a sopravvivere.

Se l’attenzione sia analitica che operativa si concentra soltanto sul primo polo si rischia di isolare le specificità idiosincratiche dei singoli o gruppi target (donne, anziani, giovani e adolescenti), creando ad esempio settings specialistici che li astraggono e li separano dai contesti sociali di appartenenza: se viceversa si risale troppo rapidamente alle cause sociali dei problemi, si corre il rischio di non mettere a frutto l’apprendimento e il patrimonio di conoscenze che provengono dall’esperienza dell’esclusione e della marginalità (anzitutto appunto quella dei diretti interessati) e dal confronto con gli ostacoli e le risorse che si incontrano sul campo ogni giorno.

Cosa fare allora e soprattutto, in che modo rispondere?

La crisi del funzionamento dei servizi sociali, come aspetto specifico di una più ampia e generalizzata crisi dei sistemi di welfare ha generato, da un lato una crescente sfiducia dei servizi formali, dall’altro una idealizzazione delle reti informali, con la conseguenza di separare sempre più nettamente i due ambiti.

Tale situazione di crisi è spesso avvertita dagli operatori sociali che subiscono lo scarto tra l’aumento del carico di lavoro e l’inadeguatezza del risultato, provocando effetti di frustrazione di fronte alla crescente complessità dei compiti ed in particolare di fronte alla impossibilità di fornire, a bisogni differenziati, risposte puntuali, prestazioni specializzate e nel conservare, nello stesso tempo, una significativa capacità di comunicazione interpersonale.

L’approccio quantitativo ai bisogni realizzato nel passato, denuncia la sua debolezza: la logica, secondo la quale all’aumentare dei bisogni si contrappone l’aumento del numero dei servizi formali, è fallita. Dotarsi invece di nuove chiavi di lettura e di nuove soluzioni strumentali nel tentativo di rispondere alle nuove domande che individui e collettività pongono ogni giorno, sembra essere un punto di partenza.

Quale allora una possibile risposta? Partire da un approccio qualitativo per una rivalutazione del sistema delle risorse umane centrato sulla mobilitazione delle risorse e sulle relazioni interpersonali.

Ed è nuovamente alle reti sociali che si ritorna, questa volta come sostegno, come capitale sociale di una comunità che diventa la risorsa primaria per promuovere processi di partecipazione diffusa in grado di esprimere nuove formule di welfare.

Diviene essenziale, allora, l’attivazione di metodi di lavoro basati sull’utilizzo di tutte le risorse disponibili nella comunità, sulla presa in carico congiunta ed integrata dei diversi problemi che emergono sul territorio, su caratteristiche sistemiche, in definitiva sull’integrazione fra istituzioni, strutture, imprese, persone, che diano concretezza alla formula di un lavoro nelle e con le reti.

Pertanto, se prendere in esame le reti sociali vuol dire dare una risposta efficace per incidere in qualche modo nella crisi del sociale e se questa crisi è data dallo sdoppiamento e dalla separatezza profonda che si è originata nella cultura sociale, tale proposta non può che partire insistendo su un intendimento prioritario: abbattere proprio questa separatezza, ossia il muro neutrale che tiene o fa vedere separate le risorse istituzionali (formali) dalle risorse umane (comunitarie o informali).

In tale prospettiva diviene, dunque, essenziale superare la dicotomia tra informale e formale e, quindi, tra reti primarie e secondarie per promuovere uo scambio continuo reciproco nel quale si integrino le competenze professionali degli operatori istituzionali con le esperienze provenienti dal quotidiano.

L’individuazione dei bisogni / domande e delle risposte / offerte esistenti o possibili è il primo passo del “pensare a rete” proprio per leggere e circoscrivere il bisogno e restituire al territorio stesso il ruolo di titolare della cura e della risposta ai suoi problemi.

Fare rete è una pratica che parte dal pensare la comunità come scenario in cui i disagi, le disfunzioni e le forme di deprivazione non vengono cristalizzati ma restituiti, secondo logiche di empowerment, a quel patrimonio sociale della comunità stessa fatta di relazioni, di legami capaci di accogliere il disagio, di prendersene cura. L’aver cura delle reti si connota come manutenzione delle relazioni al loro interno, delle regolazioni tra i nodi, dello sviluppo delle competenze e della vicinanza del territorio.

Ci si trova in presenza di una trama organizzativa sempre più complessa articolata in una pluralità di pnti decisionali che può essere monitorata calando la programmazione degli interventi in una rete organizzativa sempre più complessa articolata in una pluralità di punti decisionali che può essere monitorata calando la programmazione degli interventi in una rete organizzativa dotata di snodi fondamentali per attuare un processo che orienti sistemi complessi. Tale reticolo organizzativo diventa lo spazio in cui i diversi attori sociali definiscono le proprie interazioni.

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La rete sociale è un concetto che rimisura, allora, lo spazio e ridefinisce il tempo; è attraverso di essa e dentro di essa che è possibile cogliere come i profondi cambiamenti che investono i rapporti sociali e i valori stanno modificando da una parte i bisogni, i desideri, le aspirazioni degli individui e, dall’altra quanto l’esperienza dei singoli partecipi a questi processi, li rifletta, li influenzi e li modifichi in stili di vita più salutari.

Una possibile soluzione concreta per la modificazione degli stili di vita più salutari è rinvenibile nei programmi e iniziative (vd.l.328/00, piano sanitario nazionale, piano regionale per le politiche sociali Regione Puglia, l.19/06) che in vario modo creino insieme condizioni di sviluppo economico a livello locale, condizioni sociali e istituzionali perché esso si traduca in benessere sociale delle popolazioni, e condizioni civili e politiche di integrazione attiva e partecipe nella vita sociale, le strategie di intervento che ad essa si richiamano hanno un terreno cruciale di azione nella capacità di contrastare e invertire processi che generano e estendono la marginalità sociale.

I principali elementi su cui programmi e iniziative si diversificano sono: i campi di azione privilegiati, le condizioni di svantaggio che ne costituiscono il target principale, i tipi di organizzazione in cui si articolano.

I campi di azione più significativi:

- lo sviluppo economico socialmente sostenibile di contesti locali ai margini o esclusi dalle dinamiche di sviluppo dell’economia capitalistica globalizzata (per esempio attraverso il sostegno al credito, la promozione di imprese, le politiche attive del lavoro);

- le politiche sociali, nelle loro diverse articolazioni (l’ambito sanitario, educativo e formativo, di sostegno al reddito) in quanto siano rivolte a obiettivi di promozione sociale dei gruppi socialmente svantaggiati;

- i programmi di rigenerazione urbana che intervengono su zone socialmente ed economicamente deprivate nelle quali si addensano condizioni di grave marginalità sociale.