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Orientare alla relazione educativa

Staff di ricerca: Dott.ssa Sara Russo – Responsabile scientifico; Dott.ssa Mariangela Demarinis - Educatrice

Lo scopo della ricerca è stato quello di sviluppare uno studio, su base sociologico-pedagogico-statistica, che indicasse lo "stato dell'arte" delle esperienze di educazione alla salute realizzate negli istituti scolastici dei Comuni interessati dalla ricerca.

L’analisi quantitativa dei progetti si è orientata su una duplice direzione: Una lettura generale delle diverse aree di analisi ; Una lettura più analitica delle diverse aree di intervento studiate sulla base di alcune variabili (dei livelli scolastici: elementari, medie e superiori e del tipo di iniziativa per cogliere la natura prevalente dell’iniziativa stessa).

Riferendosi in modo particolare alla caratterizzazione più tipica dei progetti si rileva che quelli delle scuole elementari si orientano prevalentemente sui temi educativi che riguardano l’alimentazione, l’attività motoria, il valore del gioco nei suoi aspetti motorio, socializzante e comportamentale e sui disturbi specifici dell’apprendimento, la famiglia e le sue competenze relazionali nel rapporto con i propri membri.

Nella scuola media prevalgono progetti orientati specialmente verso i temi del disagio, del disadattamento sociale e relazionale, delle dipendenze (fumo, alcol, droga, gioco…), degli aspetti relazionali e personali legati all’affettività e alla sessualità, disturbi del comportamento alimentare, della dispersione e dell’abbandono scolastico.

Simili progetti continuano poi anche nelle scuole superiori, dove però recuperano vigore i temi educativi della famiglia e delle competenze relazionali, del bullismo, della violenza.

Studiando i contenuti dei progetti si giunge a individuare 4 direzioni di sviluppo e di intervento relativi alla:

1. Prevenzione del disagio (Devianza), sotto tale etichetta sono comprese tutte quelle iniziative avviate per prevenire e contrastare la devianza in generale, il disagio adolescenziale, le diverse forme di comportamenti asociali di non grave entità, il disadattamento sociale e relazionale, i fenomeni di bullismo e di violenza nella classe e nella scuola, la dispersione e l’abbandono scolastico. In una prospettiva più positiva e promozionale si potrebbe parlare di quelle iniziative preordinate alla promozione della salute, del ben-essere individuale e collettivo;

2. Orientamento, attorno a questo titolo si è inteso raggruppare tutti quei progetti indirizzati alla consulenza psicologica in generale, già presenti peraltro nella scuola, come i centri di ascolto ma in particolare a quella consulenza scolastica diretta sia all’orientamento e alla scelta del tipo di scuola e/o di professione, di indirizzo scolastico, ma soprattutto alla conoscenza più approfondita di se stessi, della propria personalità, delle proprie attitudini, interessi, capacità manuali, dove l’opera degli psicologi e degli orientatori è prevalente, come una delle figure istituzionali, coadiuvati talora dai docenti referenti;

3. Famiglia e competenze educative dei genitori, sotto questo cappello sono compresi tutti quei progetti relativi a quel programma ministeriale più ampio che va sotto il nome di sostegno alla genitorialità, lo star-bene della famiglia, e che si preoccupa di raccordare i poli della scuola e della famiglia nella comune prospettiva educativa di aiutare l’adolescente a crescere bene, sia a scuola che in casa. Sono molto numerose le iniziative promosse in questo settore da parte della scuola: incontri, laboratori particolari di attività fatte insieme ai figli e ai docenti, così che hanno fatto della scuola un punto di riferimento anche per i genitori, rafforzando quella sinergia di collaborazione dovunque e da tutti molto auspicata;

4. Educazione alimentare, sotto tale tematica sono compresi tutti quei progetti tesi a promuovere il benessere psicofisico degli studenti attraverso una corretta abitudine alimentare.

In particolare, nell’ambito del Progetto “La scuola che promuove salute” come interventi finalizzati all’educazione alla salute degli adolescenti sono stati “studiati” ed affrontati i seguenti temi “La fiducia” e “Il silenzio” nel Liceo Scientifico Statale “Federico II” di Altamura, con l’intento di creare condizioni adatte per consentire al giovane di affrontare in modo soddisfacente i propri compiti di sviluppo.

COME SI COSTRUISCE LA FIDUCIA?

A questo proposito vengono citati alcuni autori che a nostro avviso hanno affrontato l'argomento in modo particolarmente significativo e utile alla nostra riflessione. Si Riportano alcuni stralci tratti da scritti di Winnicott, un importante pediatra e psicoanalista inglese che ha lavorato molto insieme ai genitori e agli educatori: "A che cosa tende la nostra azione educativa? Noi ci impegniamo affinché il bambino conquisti gradualmente un senso di sicurezza. Deve formarsi nell'intimo di ogni bambino piccolo, una fede in qualcosa; non solo in qualcosa che sia buono, ma in qualcosa che su cui possa contare e che resista, oppure che, se offeso o lasciato perire, risorga. Il problema è: come prende forma questo senso di sicurezza? Che cosa porta a quel particolare stato di soddisfazione grazie al quale il bambino ha fiducia nelle persone che gli stanno intorno e nelle cose? […] Con la nostra presenza, con l'essere autenticamente noi stessi, noi procuriamo una stabilità che non è rigida, ma viva e umana: ciò fa sì che il bambino si senta sicuro. E' di questo che egli ha bisogno per potersi sviluppare….

[…] In condizioni di buona salute, col tempo, i bambini diventano capaci di conservare il loro senso di sicurezza anche di fronte a oggettive situazioni di insicurezza.
[…] I figli sentono il bisogno di continuare a verificare se possono ancora fare affidamento sui loro genitori, e ciò può durare sino a quando essi stessi avranno messo al mondo figli propri, a talvolta anche dopo. E', invece, un tratto caratteristico proprio degli adolescenti mettere alla prova tutte le misure di sicurezza e tutte le norme, le regole e le discipline.
[…] Possiedono un senso di sicurezza che viene costantemente rafforzato dalle prove che essi compiono sui genitori e sulla famiglia, sugli insegnanti, sugli amici e su qualsiasi persona essi incontrino.
[…] I ragazzi sani hanno bisogno di qualcuno che li disciplini, ma le regole devono essere imposte da persone che essi possano amare e odiare, che possano sfidare e ubbidire; i controlli meccanici non servono e la condiscendenza ottenuta con la paura non ha valore. E' pur sempre il vivo rapporto tra persone che offre lo spazio necessario per un effettivo sviluppo.

A poco a poco, col tempo, questo sviluppo porta il bambino o l'adolescente ad acquisire un senso adulto di responsabilità; responsabilità che mira soprattutto a predisporre le condizioni di sicurezza per le generazioni future.

[...]La crescita non è soltanto una questione di tendenze ereditarie, è anche una questione di un intrecciarsi altamente complesso con l'ambiente che facilita (capace progressivamente di adattarsi ai bisogni dell'individuo). Se la famiglia è ancora lì per essere usata, essa viene usata in grande misura; e se la famiglia non è più lì per essere usata o per essere messa da parte (uso negativo), allora piccole unità sociali devono essere provvedute per contenere il processo di crescita adolescenziale.[...]l'individuo nel corso della crescita emotiva va dalla dipendenza all'indipendenza e in condizioni di salute mantiene la capacità di passare avanti e indietro dall'una all'altra… al momento di allontanarsi dalla famiglia, quando l'individuo fa breccia in tutto quanto c'è intorno a lui, a dargli sicurezza, il viaggio è proficuo solo se c'è un biglietto di andata e ritorno".

Secondo la teoria dell'attaccamento il senso di sicurezza si costruisce presto, ha le sue basi nella prima infanzia, nel primo rapporto del bambino con la madre o la figura che si prende cura di lui. La possibilità di stabilire un attaccamento "sicuro" crea una "fiducia di base" indispensabile come punto di partenza per tutte le relazioni sociali in quanto l'individuo si costruisce dentro di sé una immagine, una rappresentazione o modello interno delle relazioni che forma una sorta di matrice e guida le sue scelte ei suoi comportamenti futuri nella relazione con gli altri.

Tali "rappresentazioni" o "modelli interni" hanno comunque una "plasticità" in quanto possono essere modificati o sostituiti nel corso del tempo.

In adolescenza svolge un ruolo centrale, influenza il funzionamento adattivo psicosociale, la soddisfazione personale, il benessere psicologico, la competenza nelle relazioni sociali e affettive, l'apertura alla esplorazione, la capacità di memorizzare e di mentalizzare, di fronteggiare situazioni nuove, i processi di pensiero, la capacità di riflettere sulle esperienze mentali e sulle emozioni proprie e degli altri, di costruire significati, di mettersi nei panni dell'altro.
La capacità di relazionarsi e l'autonomia costituiscono due poli importanti nel processo di crescita adolescenziale.

Nel graduale processo di acquisizione della autonomia da parte dell'adolescente i genitori rappresentano sempre una "base sicura", il ragazzo deve poter "esplorare" la possibilità di vivere indipendentemente dalle figure di riferimento sapendo di poter sempre contare su di loro. I genitori e la famiglia devono essere capaci di favorire e supportare emotivamente e affettivamente il cambiamento evolutivo e i tentativi del ragazzo di raggiungere maggiore autonomia, favorire la costruzione di legami alternativi.

La costruzione della identità e la conquista dell'autonomia non implicano soltanto un processo di separazione-individuazione, ma anche un forte bisogno di appartenenza.
I genitori possono interpretare erroneamente o non comprendere, o non accettare i tentativi del ragazzo di separarsi e di rendersi autonomo, possono sentirsi attaccati o minacciati o perdere la fiducia nelle proprie capacità genitoriali.

Vorremmo prendere spunto proprio da queste riflessioni per analizzare meglio il lavoro svolto.
La linea che si desidera seguire con il progetto "benessere a scuola" è di cercare di fare sì che la scuola possa effettivamente diventare un agente di protezione per il futuro dell'individuo e che il ragazzo possa trovare, all'interno della scuola, figure adulte che si affiancano ai genitori nel processo di crescita e che diventino "altri" significativi in cui potere avere fiducia e su cui costruire la fiducia in se stessi.

Il fattore protettivo consiste nel fatto che gli adulti non deleghino gli uni agli altri le responsabilità, ma che ci sia una reciprocità, un contenimento attraverso un lavoro di crescita comune, di impegno e di responsabilità. Per questo è importante che si crei un clima nella scuola, una collaborazione fra gli insegnanti e fra genitori e insegnanti tale da rinforzare la fiducia e la credibilità nei ragazzi.

LA “PRATICA DEL SILENZIO” TRA MEDITAZIONE, INTERIORITà ED INATTESE SCOPERTE RELAZIONALI

Nella società attuale, completamente volta alla comunicazione (superficiale, di contenuto), si escogitano nuove strategie sempre più raffinate per facilitare la divulgazione di informazioni e di relazioni tra individui, in cui l’esaltazione del valore della parola e della scrittura delegano in secondo piano, quasi trascurandone l’utilità, il necessario e complementare silenzio (Valle, Devi, 2003). Fare silenzio. Sembra un imperativo, un ordine o peggio ancora una punizione, quella di togliere la parola; il silenzio è spesso visto, infatti, come una privazione, una menomazione, e quindi fondamentalmente come un obbligo imposto da qualcosa o da qualcuno, ma anche da noi stessi: un lutto, per esempio, o una frustrazione, un rimprovero, e la violenza, alla quale il silenzio si confà come la neve alla terra asciutta, la neve che copre…

Ma il silenzio può essere anche e soprattutto una scelta, meglio ancora una pratica. E può riservare molte sorprese.

Il silenzio, così come ci è stato tramandato dalla storia delle religioni, non va inteso come assenza di rumore o di suono, ma come condizione necessaria al manifestarsi del sacro ed allo svilupparsi della comunicazione dell’uomo con il trascendente.

Ma ciò che per noi risulta importante è che, in quest’ottica educativa, il silenzio va pensato come il punto più alto di un discorso che comunica con il suono delle parole o i segni delle immagini, ma che, man mano, si isola da esse per raggiungere il flusso dei significati come esperienza di risonanza totale della propria interiorità: solo nel silenzio è possibile udire la voce della coscienza che richiama il soggetto davanti al Sé più autentico, più vero.

La babele di linguaggi e di suoni in cui è immerso l’individuo nelle relazioni di tutti i giorni, invece, sono ostacolo all’apertura agli altri, al mondo, ma specialmente a se stesso .

Chi riesce a scendere nel proprio silenzio interiore, riuscendo attraverso la pratica del non parlare congiunta a quella dell’ascoltarsi, ad essere in armonia con sé stesso e con gli altri, ha la possibilità di trovare il connubio perfetto tra mente e corpo. Fare silenzio è lasciarsi ripercorrere dalle immagini, allontanando le ansie, i pensieri quotidiani, le abitudini, i rumori e i richiami dell’ambiente per concentrarsi sul proprio mondo interno, focalizzando l’ascolto sui possibili significati del nostro magma viscerale in cui fare ordine è spesso un problema. Proprio attraverso la scomposizione, l’individuazione delle sue parti più segrete, la riconnessone di significati oramai persi nella confusione della quotidianità “vociante”, il groviglio inconscio dell’anima può essere sviscerato e reso disponibile nella sua dimensione conscia, scoprendosi e facendo scoprire.

è utile notare e far notare ai ragazzi come ogni silenzio non sia mai fine a sé stesso, ma fortemente comunicativo all’interno di un qualsiasi contesto culturale.

L’uomo, abituato ad essere comunicativo con l’esterno, conosce la parola come mezzo di per stabilire contati con gli altri, temendo che l’agito silenzioso possa essere interpretato come caratteristica di una personalità chiusa, taciturna, complessa e complessata.

Fare silenzio significa anche ritrovare la capacità di isolarsi, mettersi in disparte, scendendo a contato con la profondità del proprio essere e ritrovando la bellezza dello stare soli con se stessi, senza paura o vergogna. Stare in silenzio è come l’aprirsi di altre porte, di altri canali, per i quali passano messaggi di altro tipo che le parole non riescono ad esprimere all’interno della relazione con l’altro da Sé.

Nella fugacità della silenziosità è possibile ascoltare il Sé dell’altro quale appare disgelandosi nella libertà dalle voci e dal clamore della quotidianità; il silenzio come sospensione offre un’apertura nei confronti non di una voce, ma di un altro ascolto delle voci stesse, delle parole o delle forme comunicative correnti, ma può semplicemente porci in grado di ascoltare quello che di solito ci limitiamo a misurare con gli strumenti della comprensione logico-verbale (Rovatti, 1992). Perché anche il silenzio è una lingua, una lingua che rivela la presenza dell’altro nel suo con-esserci, e il cammino verso il linguaggio non è un cammino verso la sola parola, verso la sola espressività verbale. Accade spesso che si riesca ad esser vicini all’altro più con il silenzio che con i discorsi, purchè il silenzio sia autentico e non si configuri come “un cercar di prender tempo” o un “non voler dire”.

Il silenzio è anche emozione, sentimento, ed è un eccedenza del linguaggio che mette in contatto.

Le emozioni, i sentimenti e gli atteggiamenti interpersonali si palesano tanto consapevolmente, quanto inconsapevolmente –come per le emozioni, che si realizzano durante l’interazione. Pertanto, il silenzio acquisisce un valore comunicativo sotterraneo, relativo a noi stessi, all’ambiente di vita e agli individui che lo frequentano. Dove il silenzio làtita, o è scalzato dal verbale, non c’è nemmeno parola e non può esserci ascolto; il che potrebbe sembrare un paradosso, ma non lo è affatto. La parola, infatti, non si contrappone al silenzio, ma ha bisogno del silenzio per risuonare del suo significato e del suo senso (Andolfi, Angelo, 2003): anzi, il silenzio stesso può dunque essere lo spazio che prepara la parola.

Questi due modi di comunicare possono apparire antitetici, dal momento che chi fa silenzio non parla e chi parla non tace.

Fondamentalmente, però, silenzio e parola sottintendono una realtà più profonda, ontologica, dell’uomo: quella di relazionarsi. L’uomo è creato per la relazione, è un essere comunque sempre in relazione, ma mentre è più facile pensare al concetto di parola quale mezzo d’interazione, ed affiancarla, con naturalezza, all’idea di relazione, rimane più difficile concepire invece il silenzio come un codice che possa essere utilizzato in un rapporto interpersonale. Ma il silenzio può esser “loquace” e dire più di tante parole “silenti”, solo se è, oltre ad una possibilità molto privata di auto-riflessione, uno luogo per l’ascolto, per la capacità di accoglienza, di ricettività senza pregiudizi, di libera disponibilità priva della presunzione. Sotto questa luce, il silenzio esteriore va letto come tempo e spazio dell’evocazione interiore, in cui il sentire l’altro è ipotizzabile solo limitando i pericoli delle continue interpretazioni e proiezioni: accogliendo il messaggio dell’altro, attraverso il proprio silenzio psichico, è possibile lasciare che il messaggio stesso evochi ed attivi dentro di noi risposte empatiche.

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